Ci sono persone che, una volta scoperta una cosa che gli piace, ne vogliono ancora e ancora e ancora, e poco importa quanto il tutto possa diventare, dopo un pò, ripetitivo; la ripetitività dà sicurezza, ed è una cosa di cui, probabilmente, in una forma o nell'altra abbiamo tutti bisogno.
Ecco dunque che c'è chi si innamora di un singolo gruppo o di un singolo scrittore e non vuole ascoltare o leggere altro, anche quando arriva il decimo disco di fila identico ai precedenti, o il decimo libro con gli stessi personaggi (cambiano solo i nomi, e a volte nemmeno quelli), anche quando la ripetitività diventa esasperante. Le rare volte che questi "monomaniaci" si concedono delle uscite dal seminato è disolito per ascoltare qualche gruppo-clone del loro preferito, o per leggere un romanzo dello stesso identico genere. Allo stesso modo, c'è chi, senza arrivare alla maniacalità dell'ascoltatore mono-gruppo, apprezza solo un particolare sottogenere e non pensa nemmeno di prendere in considerazione altro.
Ora, è evidente che (quasi) tutti noi abbiamo tempo e fondi limitati e quindi, a seconda di quelle che sono le nostre passioni, dobbiamo necessariamente fare delle scelte: coltivarne di più alcune e lasciare le altre ad un livello superficiale, accontentandoci di quello che già conosciamo e apprezziamo, senza andare più in profondità. Più che una scelta una necessità, o comunque un'ineluttabilità (credo di aver appena sostantivato in maniera un pò azzardata, ma come dicono gli inglesi: bear with me). E quando lo facciamo, purtroppo, perdiamo uno dei più grandi piaceri della fruizione dell'arte (alta o bassa che sia, ammesso che queste distinzioni abbiano senso): il piacere della scoperta.
Scoprire nuovi artisti, andare alla ricerca delle loro opere, delle informazioni su chi erano (o chi sono), cosa hanno fatto; conoscere nuovi generi e stili, che magari non avresti mai pensato potessero catturarti; soprattutto, perdersi nell'emozione di qualcosa di diverso da quello a cui eri abituato, entrando in un nuovo mondo. Tutto questo è per me fonte di grandi soddisfazioni, tanto che, lo ammetto, non riesco a capire chi vi rinuncia a priori. Fosse per me, non mi fermerei mai.
Ma veniamo al punto.
La mia più recente scoperta, in campo musicale, sono stati i Pogues.
Ho sempre subito il fascino della musica irlandese, pur senza esserne un esperto. Le sonorità celtiche, che peraltro fanno parte della tradizione folk della mia terra, la Lombardia, le ho sempre apprezzate, soprattutto, lo ammetto, quando congiunte con il metal, come nei lavori dei miei amati Thin Lizzy o degli ottimi Skyclad. Però, per via delle scelte obbligate di cui parlavamo sopra, non ero mai riuscito ad approfondire di più l'argomento. Recentemente, mi sono detto che era ora di cominciare a documentarsi un pò, e sono quindi venuto in contatto con la musica di Shane McGowan e soci. E' stato amore a primo ascolto. La poesia ubriaca dei fumosi pub di Dublino e delle verdi pianure irlandesi, così splendidamente rappresentata dai Pogues, si può amare od odiare, difficilmente lascia indifferenti. Quando poi a cantarla è un uomo che evidentemente la vive, che non si concede nessun vezzo d'immagine con i suoi denti storti e le orecchie a sventola, insomma, uno che è spietatamente sincero fino al punto di fare, ogni tanto, anche dei concerti di merda causa tasso alcolico elevatissimo... Beh, l'effetto è moltiplicato, come sempre accade quando non c'è scollatura tra un artista e i suoi personaggi.
Ho appena cominciato a entrare nel loro mondo; non posso ancora dirmi un esperto, nè un conoscitore. Ma il cofanetto con 3 album che mi sono procurato è lì, tutto da esplorare. E niente mi piace di più che andare verso una nuova frontiera. Ormai dovrebbe essere chiaro, no?
DC’s March 2025 Solicitations
1 giorno fa
2 commenti:
ricordo di avertene parlato io tempo fa, quando mi facesti sentire un pezzo dei Thin Lizzy che richiamava una vecchia canzone irlandese...
Può essere. Il pezzo era "Whiskey in the Jar", forse?
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